Dieci anni di stagioni teatrali al De Filippo di Agropoli In scena la normalità della pazzia secondo Eduardo De Fillipo

Parte la nuova stagione al De filippo di Agropoli, la decima. Un dieci che cade nel quarantesimo della
scomparsa di Eduardo De Filippo, a cui è dedicata la struttura. Una combinazione quasi astrale che ha
permesso al direttore Pierluigi Iorio di iniziare la stagione, celebrando Eduardo con la commedia Ditegli
sempre di sì, diretta da Domenico Pinelli.

Destini che si incrociano anche per lui. Reduce dal successo del fim I fratelli De Filippo di Sergio Rubini, in cui interpreta Peppino, nella commedia veste i panni di Michele Murri, ruolo scritto e interpretato dal celebre Eduardo. Sia nell’adattamento scenico che nell’interpretazione, il giovane attore e regista dà un tocco di attualità alla storia. Il “protagonista pazzo” di Pinelli risulta molto reale. L’ attore non esaspera tic o nevrosi. Al contrario il Michele Murri, che va in scena, è un uomo all’apparenza tranquillo. A parte la sorella Teresa, interpretata da un’ intensa Laura Pagliara, nessuno è a conoscenza del suo anno di reclusione in manicomio.

Una farsa così ben riuscita che inganna tutti, persino se stesso. È singolare notare come le piccole manie descritte da De Filippo nel 1927 siano sempre attuali. L’ ossessione di Michele Murri è semplicemente un’analisi meticolosa della realtà, un voler troppo ragionare sugli eventi, una ricerca spasmodica di usare le parole giuste, come spesso ama ripetere: “C’è la parola adatta, perché non la dobbiamo usare?”. Il protagonista non accetta
le sfumature, i compromessi, prende alla lettera qualsiasi informazione, regalando momenti di alta comicità. Soprattutto quando in scena si ritrovano Domenico Pinelli e Mario Autore, che veste i panni dell’artista Luigi Strada. È singolare la dicotomia che si crea: per le stravaganze dell’aspirante attore e poeta, tutti sono portati a credere, senza remore, che il pazzo sia lui e non l’equilibrato Michele Murri. Ci vorrà l’intervento della sorella per spiegare la verità e relegare il fratello al ruolo di “folle” che non l’ha mai del tutto abbandonato.

Non era semplice confrontarsi con la pazzia e con un testo di Eduardo, ma il regista lo ha fatto adattando la commedia in uno spettacolo da atto unico, come se esistesse un filo che non può essere interrotto.
Una sottile follia che dà qualche indizio soltanto con l’uso sapiente delle luci e delle musiche introspettive (curate da Mario Autore) quando il protagonista si trova da solo in scena. Piccoli indizi che insinuano nello spettatore la domanda: è guarito per davvero?

Ma un quesito universale aleggia sulla commedia: qual è il parametro che definisce la follia? La risposta di Eduardo, nel suo prologo per la versione televisiva del ’62, ripreso all’ inizio dello spettacolo, recita:
Eccomi a voi. Non c’è filosofia nella farsa che recito stasera, ma un personaggio della vita vera, un tal dei tali affetto da follia (…)
(…) Allora è un dramma, mi direte voi, io vi rispondo “è una tragedia nera, ma non è nostra”. E la tragedia vera diventa farsa se non tocca a noi. (…)
Divertitevi dunque, riflettendo che ognuno può trovarselo davanti un vero matto, e accade a tutti quanti di commuoversi e ridere piangendo (…)

Una definizione che si adatta alla nostra quotidianità. Alzi la mano chi non ha mai avuto una mania, un piccolo
indizio di follia che cerca di nascondere. La versione di Pinelli ha reso questi aspetti molto vicini alla nostra quotidianità. In un’ atmosfera che mantiene la sacralità antica della commedia, grazie ai costumi di Viviana Crosato e alla scenografia di Luigi Ferrigno e Sara Palmieri, va in scena il tentativo riuscito di liberare il protagonista dal prototipo del pazzo, per restituirgli l’immagine di un personaggio reale che si confronta continuamente con il suo mondo interiore, a volte commuovendosi e, a volte, piangendo. E una domanda rimane
in sospeso: chi è il pazzo adesso?