Tradizione, storia e magia al De Filippo di Agropoli, per il quarto spettacolo dell’VIII stagione teatrale,
diretta da Pierluigi Iorio. “La Cantata dei Pastori” di Peppe Barra e Lamberto Lambertini suggella il favore
del pubblico per questa stagione teatrale, già al terzo tutto esaurito.
La sacralità dell’opera si respira fin dal foyer, ancora prima dell’inizio dello spettacolo, grazie alla storia
di un’ opera, patrimonio dell’Unesco e iscritta nei novantotto beni del patrimonio immateriale della
Campania. Riconoscimenti che derivano da un lungo studio sulla tradizione napoletana. La cantata dei
Pastori nasce nel 1648 dalla penna dell’Abate Andrea Perrucci. Furono i gesuiti napoletani a
commissionargli l’opera con l’intento di riavvicinare i fedeli alla messa di Mezzanotte, allontanatisi dai
riti religiosi, a causa degli spettacoli blasfemi che si tenevano nella Napoli del vicereame. L’Abate dà
vita a un testo che riporta in auge il messaggio di Gesù, attraverso il viaggio di Maria e Giuseppe verso
Bettlemme, insidiati dal Diavolo per impedire la nascita del Salvatore. Soltanto grazie alla forza degli
Angeli, però, il Bene vince sul Male, rendendo la nascita del Bambinello un simbolo di vittoria. Ma
l’estro del popolo napoletano rimodella e riformula la storia, aggiungendo un nuovo personaggio: il
comico Sarchiapone che, insieme allo scrivano Razzullo, già esistente nell’ opera originale ma
trasformato in un personaggio più pulcinellesco, rende il testo meno sacro e più profano.
La cantata dei Pastori, portata in scena da Peppe Barra, resiste a quattro secoli di rappresentazione e
diventa storia nella storia. Alla soglia degli ottanta anni, il maestro domina la scena nei panni dello
scrivano Razzullo, accompagnato da una straordinaria Lalla Esposito nel ruolo di Sarchiapone. Il duo
comico detta il ritmo delle battute, coinvolgendo anche il pubblico in sala, dando vita a un esempio di
metateatro che crea un rapporto speciale tra gli attori e gli spettatori. Sul palco anche Luca De Lorenzo,
Serena De Siena, Massimo Masiello, Antonio Romano e Rosalba Santoro che, con le loro interpretazioni,
contribuiscono a rendere l’opera un unicum del teatro napoletano.
La scenografia di Carlo De Martino mette da subito in evidenza le contrapposizioni del testo: la lotta tra
il Bene e il Male, il dialetto del “criminale” Sarchiapone e la lingua colta di Razzullo, il sacro della natività
e il profano della quotidianità.
Su tutto, però, domina l’arte: il presepe si mescola alle maschere della tradizione napoletana,
rappresentate da Razzullo e Sarchiapone, in uno spettacolo in cui la musica ( Giorgio Mellone), con l’
orchestra presente in sala, formata da Pasquale Benincasa (percussioni), Giuseppe Di Colandrea
(clarinetto), Agostino Oliviero (violino e mandolino) e Antonio Ottaviano (pianoforte), diventa parte
integrante della rappresentazione scenica perché, come afferma Peppe Barra, “La Cantata dei Pastori è
la favola più bella del mondo, è il presepe che si muove”, è lo spettacolo in cui il popolo, morto di fame e
di miseria, ha rimodellato, a sua immagine e somiglianza, la storia della natività, riconoscendo, però, il
valore aulico e sacro della nascita del Salvatore. Un’intenzione ben interpretata da Peppe Barra che,
nella sua versione, ha voluto aggiungere anche la celebre canzone “Quanno nascette ninno”, simbolo di
un racconto che parte dal basso per rappresentare qualcosa di magico e tutt’ora incomprensibile alla
mente umana. Uno spettacolo antico, molto atteso dal pubblico del De Filippo, che ha apprezzato la
maestria dell’arte teatrale di rendere attuale un testo che ha attraversato secoli di storia per giungere
ancora forte e chiaro fino a noi.