Tutto esaurito al De Filippo di Agropoli per lo spettacolo diretto da Pierluigi Iorio.
L’ebreo, scritto da Gianni Clementi, con la regia di Pierluigi Iorio, è una storia a tre voci, su cui capeggia la disperata crudeltà di Immacolata Consalvi, interpretata da una magnetica Nancy Brilli.
Bisogna partire da qui per capire un testo non semplice che lancia diversi messaggi e instilla il dubbio negli spettatori. Il quinto appuntamento della decima stagione del “De Filippo” di Agropoli è uno spettacolo che finalmente osa, mettendo in scena una commedia noir che gioca sul tagliente filo di una psicologia complessa. L’introspettiva regia di Pierluigi Iorio dirige gli avvenimenti e i personaggi con sapienti
interventi e ritmo incalzante, dando vita a un quadro reale, seppur alle prese con una situazione surreale.
La forza del testo risiede nell’aver portato nel quotidiano un fatto storico. Con la promulgazione delle leggi razziali del 1938, molti ebrei affidarono i loro beni a prestanomi, nel tentativo di non perdere i propri averi. Immacolata e Marcello Consalvi, umili dipendenti di un negozio di stoffe, sono tra i beneficiari, a seguito di questa barbara legge. Ormai a distanza di 13 anni, i coniugi da servi sono diventati padroni
assoluti, conducendo una vita molto agiata. In Immacolata questa rivalsa ha assunto i toni della rivincita; ostentando la sua ricchezza, vuole dimenticare la fame, la servitù e la miseria, allontanandosi sempre di più dal marito Marcello, interpretato da un gentile e sorprendente Fabio Bussotti. La ricchezza li ha divisi: Immacolata ha costruito uno scudo di malvagità mista a paura, Marcello vive nei sensi colpa e non si sente pienamente a suo agio nel ruolo di ricco. L’anello di congiunzione tra questi due mondi è il loro
amico di vecchia data, Tito, interpretato da Claudio Mazzenga, che, con un attento lavoro attoriale, rende questo idraulico un personaggio simbolo della Roma degli anni ’50, travolta dal boom economico, ma costretta a nascondere “sotto al tappeto” le nefandezze di una ricchezza inaspettata e non meritata.
L’ebreo, il padrone che torna a rivendicare le sue proprietà, è il quarto protagonista della storia, un personaggio che non appare mai, facendo palpare con mano la bravura dei tre attori e le felici intuizioni della regia. Lo conosciamo tramite le parole dei personaggi, le storie raccontate su di lui, i suoni e le emozioni che scatena attraverso gli effetti scenici che fanno insinuare nel pubblico il dubbio se sia stato o no un brav’uomo. Grazie a una formidabile interpretazione di Nancy Brilli riusciamo a credere che abbia potuto persino abusare di lei, per poi scoprire, subito dopo, dall’ignaro Tito che, molto probabilmente, il famigerato proprietario era omosessuale. L’ebreo è dunque un’ombra che serpeggia tra i personaggi, nelle belle e maestose scenografie di Alessandro Chiti e i costumi di José Lombardi, in un continuo gioco di luci e ombre e un ritmo serrato dell’azione, intervallata dalle belle musiche e dalle parole pungenti dell’anima di Immacolata, una lady Macbeth che riesce a manipolare tutti. Ma chi potrà mai salvarla da se stessa? Un inaspettato finale rivelerà ciò che solo il teatro può regalare: l’autenticità di mettere in scena la malvagità, la follia e il paradosso delle vite umane alle prese con la propria coscienza.