Come facciamo a sapere se la persona che abbiamo accanto sia quella giusta? È un
interrogativo che, ogni coppia, prima o poi, si pone. Gli psicologi affermano che sia
normale. Poi ci sono gli scrittori, che cercano di trovare risposte semplicemente
rappresentando uno spaccato di realtà. Come accade con “Amanti”, sesto
appuntamento dell’ottava stagione teatrale del Cineteatro Eduardo De Filippo di
Agropoli, diretto da Pierluigi Iorio. Un’impresa non semplice mettere in scena le
blasonate e comuni “corna”, un tema che, a volte, può rischiare di cadere nel banale
o nel clichet. Con “Amanti”, però, un titolo immediato e preciso, la platea da “tutto
esaurito” del De Filippo ha subito capito di trovarsi di fronte a una storia dalle
sfumature particolari. La sapiente penna di Ivan Cotroneo dà vita a due personaggi
immersi nella propria quotidianità, ma profondamente infelici. Lo fa in modo
sarcastico e leggero, scoprendo le loro personalità un po’ alla volta. Il pubblico, sin
dalle prime battute, si affeziona a Giulio, un divertentissimo Massimiliano Gallo,
grazie a un’interpretazione che va oltre la penna di Ivan Cotroneo. L’attore, infatti,
riesce a coniugare in modo naturale il lato comico e il lato drammatico del
personaggio con una recitazione che richiama Massimo Troisi, maestro di una
comicità malinconica, figlia della grazia del riso e della battuta detta nel modo giusto
per rivelare la triste realtà della quotidianità. Singolare è l’incontro che Giulio ha con
Claudia, una sensuale e tormentata Fabrizia Sacchi. Lei, uscendo dall’ascensore, è
alla ricerca di un fazzoletto. Lui, in procinto di entrare, cerca di sdrammatizzare
l’ansia della donna con battute leggere tipiche del suo modo di essere. Sarà questo il
leitmotiv della loro “relazione” , anche se ci vorranno un paio di sedute dalla
psicologa e trentasette incontri clandestini per dichiararla tale. Lei presa dai sensi di
colpa verso suo marito, sempre piena di quesiti ma pronta a dimenticare tutto tra le
braccia del suo amante; lui, vittima di un matrimonio ancora più infelice, talmente
saturo della quotidianità con la moglie e i suoi figli, da aver bloccato ogni emozione.
Non piange, non si dispera, non ha sensi di colpa, ha semplicemente voglia di stare
con lei, di vederla, di amarla. L’ascensore che li ha fatti incontrare è quello del
condominio in cui si trova la loro psicologa, una bravissima Orsetta De Rossi,
perfettamente calata nel ruolo. Grazie alla scenografia di Monica Sironi, che divide
in due il palco, mostrando, da un lato, la stanza dell’albergo per gli incontri
clandestini dei due amanti e, dall’altro, lo studio della psicologa, il pubblico segue la
storia di Giulio e Claudia, in un continuo rimando tra ciò che succede tra loro e ciò
che confidano all’ignara dottoressa Cioffi.
Sì, perché i due amanti preferiscono tacere alla psicologa l’identità dei loro partner
clandestini, generando una serie di gag comiche che giocano molto sui termini della
“stanza delle parole” come setting, pattern, modus agendi e quell’ imparzialità un
po’ irritante, tipica degli psicoterapeuti. Al quadro di personaggi, già ricchi di
sfaccettature, si aggiungono i rispettivi coniugi dei due amanti: Laura (Eleonora
Russo), la moglie di Giulio, specchio fedele di una donna esasperata e aggressiva, ma
inconsapevole di esserlo, e Roberto (Diego D’Elia), marito di Claudia, uomo
completamente succube della moglie, pronto a fare qualsiasi cosa pur di
riconquistarla.
Non sarà facile per la psicologa ricomporre i pezzi di queste vite frammentate dalle
proprie debolezze. Ma soprattutto quell’amore tra Giulio e Claudia, iniziato come un
gioco, metterà in evidenza le fragilità dei rapporti di coppia, l’incomunicabilità dei
sentimenti, il peso delle scelte che determinano la felicità di chi ci sta accanto. Come
nella vita, non sapremo mai se Giulio e Claudia abbiano davvero “aggiustato” le
proprie esistenze. Ivan Cotroneo, grazie a un cast molto ben assortito e una regia
anche un po’ cinematografica, racconta la complessità delle nostre emozioni, il
“sottotesto” che sempre si nasconde nelle nostre scelte. Quel sottotesto che, non a
caso, si riesce a rappresentare soltanto a teatro.